Ma quale welfare, noi mamme siamo abbandonate
Poco meno di dieci giorni alla chiusura delle scuole. Dieci giorni scarsi per organizzare una famiglia. Per chi se lo può permettere, perché gli altri sono fuori. Funziona così, in città, per chi ha figli iscritti alla scuola pubblica, che, per quanto riguarda la scuola elementare, chiude la prima settimana di giugno e, per ciò che riguarda la materna comunale, va avanti fino a fine giugno. Altra storia per le private, che costano, un botto, ma che restano aperte fino a tutto luglio e riprendono poi il primo giorno utile di settembre.
Prima di iniziare a parlarne, sgombriamo il campo dagli equivoci e da commenti ottusi e per me fuori dal mondo tipo: “Poveri bambini, dopo un anno intero di scuola non siamo ancora soddisfatte? Non hanno bisogno di riposo pure loro?”. Certo che ne hanno bisogno, appunto, e dovrebbero averlo, questo diritto. In una società civile i bambini (e le loro famiglie) dovrebbero avere delle strutture che li ospitano anche nei mesi estivi, e dove possano giocare e passare una parte della giornata, a prezzi comparabili a quelli delle scuole pubbliche. Ma queste strutture non esistono, sono un miraggio, almeno al Sud. E avremmo bisogno anche noi mamme che lavoriamo di un po’ di riposo e di vivere i mesi estivi con i nostri figli, ma, se non lavoriamo (e con loro a casa farlo non è possibile), non possiamo comprare il pane per sfamarli, né i vestiti per vestirli, né i giochini per allietargli le giornate. Perché, oggi, la vita costa. Per tutti. E se non lavori non guadagni, a meno di essere tra i pochissimi fortunati che hanno un posto da dipendente, con ferie e festività pagate e tra i pochissimi a non aver ancora subito abbastanza tagli da poter permettersi di evitare doppi lavori, doppi e tripli turni e accessori. Per vivere, anzi, sopravvivere.
E allora come si fa ad andare avanti se le scuole chiudono e se non c’è uno straccio di supporto alle famiglie che hanno entrambi i genitori che lavorano? È un dramma, senza esagerazione, una cosa che toglie il sonno e la salute.
Sì, ci sono i campi estivi, certo. Che costano, e molto, soprattutto se di figli ne hai più di uno. Si finisce per lavorare, nei mesi di giugno e luglio, solo per pagare il campo estivo dei tuoi bambini, ammesso che tu guadagni abbastanza da poterlo pagare. Perché farlo? Perché se non lavori in modo continuativo, anche a giugno e luglio, nonostante i tuoi figli non vadano a scuola e nonostante tu non abbia una rete di sostegno familiare, sei fuori dal mercato del lavoro: ci sarà qualche altra donna, senza figli, o con maggiori disponibilità economiche, tali da potersi permettere, appunto, un campo estivo, una scuola privata o semplicemente una babysitter che accudisca i suoi figli, che prenderà il tuo posto. E tu ti sentirai come un tramezzino delle ferrovie britanniche scaduto. E non ci sarà nessuno a difenderti, baby, perché questo è il mercato del lavoro, questo vuol dire essere donne e mamme a Napoli (ma non solo), questo è il welfare, questa è la rete di solidarietà alle famiglie che non siamo stati in grado, in decenni, di costruire.
Ah, per la cronaca, la scuola di mio figlio, elementare statale, chiude il 7 giugno, come tutte le altre, ma l’ultima settimana non fa il tempo pieno. Vuol dire che i bambini escono alle 13. Che equivale a dire che non si lavora comunque. Perché? Non lo so perché. Questo è. E, se non ti piace, cambi scuola. E, se non puoi cambiare scuola, o non vuoi, perché ritieni che quella sia un’ottima scuola, a parte questa cosa che trovi abominevole, ti appendi. Già, ti appendi. È la tua vita, baby, solo che non ne sei padrona. Neppure quando si tratta del tuo lavoro. Nonostante i proclami per la famiglia e la scuola di cui ci riempiono lo stomaco ad ogni scadenza elettorale. Quello stomaco, a fine anno, se non lavori, resta vuoto. Il tuo e quello dei tuoi bambini. Ricordiamo(glie)lo.