ilariapuglia

mai più dietro un pilastro

Archivi per il mese di “giugno, 2013”

Ma quale welfare, noi mamme siamo abbandonate

Poco meno di dieci giorni alla chiusura delle scuole. Dieci giorni scarsi per organizzare una famiglia. Per chi se lo può permettere, perché gli altri sono fuori. Funziona così, in città, per chi ha figli iscritti alla scuola pubblica, che, per quanto riguarda la scuola elementare, chiude la prima settimana di giugno e, per ciò che riguarda la materna comunale, va avanti fino a fine giugno. imagesAltra storia per le private, che costano, un botto, ma che restano aperte fino a tutto luglio e riprendono poi il primo giorno utile di settembre.
Prima di iniziare a parlarne, sgombriamo il campo dagli equivoci e da commenti ottusi e per me fuori dal mondo tipo: “Poveri bambini, dopo un anno intero di scuola non siamo ancora soddisfatte? Non hanno bisogno di riposo pure loro?”. Certo che ne hanno bisogno, appunto, e dovrebbero averlo, questo diritto. In una società civile i bambini (e le loro famiglie) dovrebbero avere delle strutture che li ospitano anche nei mesi estivi, e dove possano giocare e passare una parte della giornata, a prezzi comparabili a quelli delle scuole pubbliche. Ma queste strutture non esistono, sono un miraggio, almeno al Sud. E avremmo bisogno anche noi mamme che lavoriamo di un po’ di riposo e di vivere i mesi estivi con i nostri figli, ma, se non lavoriamo (e con loro a casa farlo non è possibile), non possiamo comprare il pane per sfamarli, né i vestiti per vestirli, né i giochini per allietargli le giornate. Perché, oggi, la vita costa. Per tutti. E se non lavori non guadagni, a meno di essere tra i pochissimi fortunati che hanno un posto da dipendente, con ferie e festività pagate e tra i pochissimi a non aver ancora subito abbastanza tagli da poter permettersi di evitare doppi lavori, doppi e tripli turni e accessori. Per vivere, anzi, sopravvivere.
E allora come si fa ad andare avanti se le scuole chiudono e se non c’è uno straccio di supporto alle famiglie che hanno entrambi i genitori che lavorano? È un dramma, senza esagerazione, una cosa che toglie il sonno e la salute.
Sì, ci sono i campi estivi, certo. Che costano, e molto, soprattutto se di figli ne hai più di uno. Si finisce per lavorare, nei mesi di giugno e luglio, solo per pagare il campo estivo dei tuoi bambini, ammesso che tu guadagni abbastanza da poterlo pagare. Perché farlo? Perché se non lavori in modo continuativo, anche a giugno e luglio, nonostante i tuoi figli non vadano a scuola e nonostante tu non abbia una rete di sostegno familiare, sei fuori dal mercato del lavoro: ci sarà qualche altra donna, senza figli, o con maggiori disponibilità economiche, tali da potersi permettere, appunto, un campo estivo, una scuola privata o semplicemente una babysitter che accudisca i suoi figli, che prenderà il tuo posto. E tu ti sentirai come un tramezzino delle ferrovie britanniche scaduto. E non ci sarà nessuno a difenderti, baby, perché questo è il mercato del lavoro, questo vuol dire essere donne e mamme a Napoli (ma non solo), questo è il welfare, questa è la rete di solidarietà alle famiglie che non siamo stati in grado, in decenni, di costruire.
Ah, per la cronaca, la scuola di mio figlio, elementare statale, chiude il 7 giugno, come tutte le altre, ma l’ultima settimana non fa il tempo pieno. Vuol dire che i bambini escono alle 13. Che equivale a dire che non si lavora comunque. Perché? Non lo so perché. Questo è. E, se non ti piace, cambi scuola. E, se non puoi cambiare scuola, o non vuoi, perché ritieni che quella sia un’ottima scuola, a parte questa cosa che trovi abominevole, ti appendi. Già, ti appendi. È la tua vita, baby, solo che non ne sei padrona. Neppure quando si tratta del tuo lavoro. Nonostante i proclami per la famiglia e la scuola di cui ci riempiono lo stomaco ad ogni scadenza elettorale. Quello stomaco, a fine anno, se non lavori, resta vuoto. Il tuo e quello dei tuoi bambini. Ricordiamo(glie)lo.

(da http://www.paralleloquarantuno.it)

Per il soprintendente la piazza è di tutti. Tranne Palazzo Reale

E nel giorno in cui in piazza Plebiscito si celebra la democrazia partecipata di Springsteen, con un uomo di 63annienonsentirli che si beve a colazione anche un ventenne, cantando per tre ore e un quarto ininterrottamente, senza neppure bere un sorso d’acqua e interagendo continuamente con il suo pubblico, in un’esplosione di gioia, rabbia, dolcezza ed energia, a Napoli qualcuno si accorge che la piazza avrebbe dovuto essere pubblica, che il concerto non è stato democratico. Sprinsgteen_NapoliE non ci ho messo neanche un punto, al periodo che precede, perché ieri sera Bruce non ci ha neppure fatti respirare, anzi, ci ha riempito i polmoni, The Boss.
Solo che oggi, il soprintendente ai beni architettonici di Napoli, Giorgio Cozzolino, ci riporta coi piedi per terra sulle pagine de Il Mattino: “Quello di Bruce Springsteen sarà un concerto irripetibile”. Intende proprio irripetibile nel senso che non accadrà più una cosa così bella, perché, dichiara, mai più un concerto “si potrà ripetere in queste condizioni”. I problemi che segnala Cozzolino vanno dal tipo di evento da ospitare in una piazza, che deve essere culturale, al fatto che la piazza sia stata sfruttata per fini commerciali, dato che c’era un biglietto di ingresso, all’esclusione di cittadini e turisti dalla fruizione della piazza se estranei al concerto. Il soprintendente si preoccupa di chi ieri era a Napoli di passaggio, per esempio un crocierista, o un bambino in gita scolastica, che non ha potuto ammirare la chiesa di San Francesco di Paola in tutta la sua bellezza. Si riferisce, in particolare, a quei brutti teloni neri a protezione delle transenne messi lì per un accordo con le forze dell’ordine, per scongiurare ressa nei pressi della piazza. Teloni fortemente osteggiati dalla Soprintendenza, afferma, ma ai quali si è poi dovuto cedere per motivi di ordine pubblico.
Dice, il Soprintendente, che gli eventi vanno organizzati per tempo, perché solo così si può gestire la cosa in maniera rispettosa delle norme e della città. La prevendita dei biglietti è iniziata a dicembre scorso, cinque mesi fa, per un evento già programmato da tempo: quanto è necessario per organizzare il tutto nei dettagli? L’organizzazione non dovrebbe precedere la messa in vendita dei biglietti? Ah, già, funziona dappertutto così tranne che a Napoli: noi, se non risolviamo le cose in emergenza, ci sentiamo mancare l’aria, è che siamo proprio stati progettati così. Secondo: ma la Soprintendenza ha parlato almeno una volta con il Comune? Perché è il Comune che avrebbe dovuto far pagare l’occupazione di suolo pubblico all’organizzazione del concerto. E se si disattende anche un principio di base come questo, poi com’è che ci si ricorda il giorno dopo che la piazza era pubblica? Inoltre: sono pubbliche anche le chiese chiuse da decenni, che i turisti possono visitare solo durante il Maggio dei Monumenti. Della loro non fruibilità a tutti nessuno si preoccupa? E di quanti, ieri sera, ancora una volta, dopo averlo già fatto con Ligabue, hanno guardato il concerto dai balconi e dagli interni di Palazzo Reale, di competenza della Soprintendenza, non si parla? Loro hanno più diritto degli altri cittadini a guardare la chiesa? Certo, la presenza non è stata clamorosa come per Ligabue, quando quel balcone era pieno, ma ce n’erano anche ieri, e, memori del gran casino scatenatosi a luglio scorso, quando hanno capito di essere osservati sono entrati dentro, e noi, giù in piazza, guardavamo quelle sagome all’interno delle sale, sotto le cornici dei balconi, a ballare e cantare insieme a noi, figli delle galline bianche, perché invece avevamo speso 75 euro per vedere il loro stesso concerto. Su quello, soprintendente, nemmeno una parola?
E i venditori ambulanti abusivi che ho visto circolare in piazza? Chi li ha fatti entrare? Quelli che avevano bibite stipate negli zainetti termici, e birre tutte in vetro? E i venditori di impermeabili a 5,00 euro? Chi avrebbe dovuto evitare entrassero? Certo non la Soprintendenza, ovvio, ma un controllo che non c’è. E quella pedana per i disabili messa laggiù, a distanza inesorabile dal palco e senza neppure una protezione per la pioggia che si sapeva sarebbe arrivata? Non grida allo scandalo quella pedana che sembrava una cattedrale nel deserto? Dove sono i servizi sociali del Comune?
Bruce non basta a guarire una città, è vero, ma in una città dove il rispetto delle regole non esiste, dove nulla segue delle norme, degli accorgimenti e degli accordi, dove non sono democratici i mezzi pubblici, né la scuola, né il lavoro, com’è che dovrebbe essere democratica una piazza durante un concerto di uno che a 63 anni ci ha fatto vivere una magia e ci ha fatto un’iniezione di energia?
Allora, i discorsi vanno benissimo, il rispetto delle regole pure, ma iniziamo a rispettarle tutti. Liberiamo il cortile di Palazzo Reale dalle automobili in sosta selvaggia, buttiamo fuori i dipendenti (?) intrufolatisi a vedere il concerto. Poi parliamo del rispetto delle regole. Intanto balliamo con il Boss, che è meglio.

(da http://www.paralleloquarantuno.it)

Altro che illuminista, Walter, sei un conservatore

Avranno capito, gli intellettuali napoletani, il manifesto che hanno firmato? O pensavano di apporre l’autografo al loro ultimo libro? Il quesito sorge spontaneo alla luce delle dichiarazioni post partita di Mazzarri, ieri. Perché a me più che illuminista, è sembrato piuttosto un sacerdote. walterfotoIl difensore dell’immobile liturgia del calcio, quello spazio dove la censura e le bugie sono ormai diventate più maestose e spudorate di quelle che affollano il panorama politico italiano. Un conservatore, uno che ama che niente venga toccato, che l’ordine costituito sia rispettato.
Dice che ha voluto scegliere lui i tempi per comunicare l’addio ai tifosi, ma non gli è riuscito neanche questo: da giorni i giornali titolavano sul suo andare via. Cosa aspettava a confermare la notizia? L’ha detto ieri: se i suoi ragazzi l’avessero saputo prima non avrebbero vinto contro il Siena. Però, che stima che nutre nei calciatori che ha spremuto fino all’osso, e che gli hanno reso possibile arrivare fin qui. Poveri bambini: senza la sua guida illuminata sono a terra. Bravo Behrami alla fine del primo tempo: “Vinciamo per il Napoli, altro che Mazzarri”. Suonava più o meno così. Vivaddio.
Non ha parlato, alla fine, Walter, non ha detto perché se ne va. Ha elogiato il presidente affermando che il rapporto con lui è sempre stato ottimo, che anzi, negli ultimi tempi era persino migliorato. Ha perso l’occasione per dire la verità. Perché non è un delitto non condividere la linea societaria. Non fa di te un mezzo uomo dichiararlo apertamente, anzi. È stato ipocrita e assai poco astuto, perché ha perso anche un po’ dell’affetto dei tifosi che lo avrebbero ricordato in modo diverso. Lui, sempre così fumantino in campo, si è rivelato niente di più che un conformista, un arido sostenitore dell’ordine costituito, quello che farà sempre attribuire al Milan un rigore fasullo, che permetterà sempre alla Juve di rivendicare 31 scudetti alla faccia della giustizia sportiva, che farà sempre inneggiare al Vesuvio negli stadi senza alcuna punizione esemplare.
Ha detto che non ha più stimoli, che si deve fermare per pensarci. Ma quale stimolo maggiore può esserci se non che il prossimo passo è la vittoria dello scudetto? Quale, se non superare il girone Champions che l’altra volta non ci è riuscito di fare? Quale migliore stimolo se non vincere, finalmente, qualcosa?
Ci vorrebbe una festa, oggi, per salutare Mazzari. Un’esplosione di colori e tappi di champagne per ringraziarlo, certo, di ciò che ha fatto per noi, ma anche per dirgli che possiamo fare di più e che per questo gli diciamo felicemente addio.
Mentre scrivo ancora non si sa chi sarà il prossimo allenatore del Napoli. I tifosi (molti tra essi, almeno) piangono perché il loro “salvatore” li ha lasciati. Il solito guardarsi indietro. Dopo Maradona pensavano tutti fosse finita per sempre, poi è arrivato Edinson, con i suoi record e la possibilità di superare anche Diego. Per carità, niente paragoni, ma forse il mondo non finisce con l’addio di un giocatore e neppure con l’addio di Walter, no?
Se arriverà Benitez sarò felice. Uno che fino ad ora ha stravinto, e che, tra l’altro, ha fallito l’ultima volta in Italia, con l’Inter, e che per questo giocherà con il sangue agli occhi per la voglia di rivalsa. Come si addice a un vincente, appunto.
L’anno sabbatico Walter se lo prende, forse, perché non ha avuto altre offerte, e, soprattutto, perché non regge. Allo stress, alla competizione, all’affetto sclerotico dei tifosi. Non ce la fa. Il che non vuol dire condannarlo alle pene dell’inferno. Ma riconoscere che illuminista proprio non è.
Lo ringrazio, perciò, infinitamente, ma lo saluto con gioia. Forse, da settembre, potremo vedere in campo tutti i giocatori, non solo i soliti, cari a Walter. Forse potremo lottare per lo scudetto e vincerlo. Forse avremo un nuovo progetto, un’altra squadra, un altro modulo e nuovi schemi. Il futuro è bello, non deve far paura. L’importante è avercelo, un futuro. Guadarsi avanti, perché guardarsi indietro distoglie dalla vita. L’errore che hanno sempre fatto anche gli intellettuali della città: mai uno spunto, un guizzo, un’idea innovativa. Solo sterile critica, quando non c’è più niente da tirare nella rete, e sempre il sedere sulla sedia. Da perfetti illuministi, appunto. Peccato che l’Illuminismo sia tutta un’altra cosa. Napoli merita di più, i tifosi e il Napoli pure. Per carità. Addio, Walter. Non ti dimenticheremo mai. Ma ci prenderemo ciò che ci spetta. E tu, invece, no. Non ne hai avuto il coraggio.

(da http://www.paralleloquarantuno.it)

Se Mazzarri e Cavani vanno via è colpa di De Laurentiis

Dice: “Non dovete preoccuparvi della partenza di Cavani o Mazzarri, ma solo che De Laurentiis non si rompa i coglioni e se ne vada, ma voi state tranquilli perché io amo il Napoli”. È Aurelione nazionale alla sua ultima esternazione, ieri sera, dopo la cena con la squadra a Villa D’Angelo. Dividiamo l’affermazione in tre e analizziamola.delaurentisPrima il presidente ci rassicura: se Cavani e Mazzarri se ne vanno, sopravvivremo. Vivaddio, una cosa che ci conforta assai. Troveremo un altro campionissimo da 28 gol in una stagione, capocannoniere per la seconda volta in campionato dopo Maradona (che ne segnò, nel 1987-88, 15) e 103 in totale, a un passo dal record di Maradona (che ne ha segnati 115), lo pagheremo due noccioline e vinceremo lo scudetto? Sì. Perché qualunque allenatore arriverà, ci farà vincere. A che ci serve Mazzarri? A niente. Persino Guidolin va benissimo. Eccheccazz.
Secondo: l’unico dio assoluto del Napoli calcio è lui, Aurelio. E c’ha ragione. Perché ha un’abilità straordinaria a spostare l’attenzione dei tifosi, ad ingraziarseli con i suoi modi gentili e disinvolti. “Io so’ io e voi non siete un cazzo”: ecco la filosofia dell’immenso Aurelio. Una filosofia che i tifosi (non tutti, ma la maggior parte sì) gli appoggia in toto, pronti poi a dare del visionario pazzo arrogante a qualunque altro povero cristo, in qualsiasi altro settore, pensi di essere un dio, a torto o a ragione. Io lo ammiro, Aurelio, perché in fondo mi piacciono gli “sboroni”, mi divertono. Mi piace chi ha una concezione talmente alta di se stesso da risultare simpatico, quasi geniale, nelle sue esternazioni da divo del mondo. Mi piace, ma se Mazzarri e Cavani se ne vanno la colpa è sua. Perché non ha costruito una squadra all’altezza di arrivare in Champions, né di gareggiare per lo scudetto, poco importa che ce lo siamo giocato con la Juve per qualche settimana, eravamo inferiori. Se siamo arrivati in Champions lo dobbiamo solo a Mazzarri, che ha fatto il miracolo con il materiale che aveva, perché sì, abbiamo qualche fuoriclasse, ma la squadra non è in grado di reggere pressioni sovrumane, dobbiamo mangiare ancora tanta polvere. Cosa ha promesso DeLa per l’anno prossimo? Su cosa potrebbe contare Mazzarri? E’ il sesto anno consecutivo che il bilancio del Napoli è in pareggio e di questo diamo atto al presidente e lo ringraziamo. Ma se è vero che noi, a Napoli, non abbiamo vinto un cazzo, come ci ricordò pochi mesi fa (e lo ringraziarono pure), è altrettanto vero che non abbiamo vinto un cazzo manco da quando c’è lui. Solo che se lo dimentica. La cosa che spaventa è che se lo dimentichino anche i tifosi. Che diano tutti addosso a Mazzarri senza nemmeno soffermarsi sulle promesse del presidente, promesse che non ci sono, appunto. Il suo monito, oggi, suona una volta ancora come una minaccia. Se me ne vado io siete fottuti, questo sembra. E c’ha ragione, visto che qualcuno, in passato, l’ha anche pregato di restare, di non abbandonarci, nel tipico stile del popolo napoletano, che non sa vivere senza appellarsi a qualche santo in Paradiso, sia pure nel Paradiso del calcio.
Terzo: “Io amo il Napoli”, dice. E implicitamente è come se dicesse che invece Cavani e Mazzarri se ne fregano. Ottimo modo di gestire una squadra, uno spogliatoio, di riappacificare gli animi e vivere un’estate serena. Dice che non ci dobbiamo preoccupare. No, presidente, non siamo preoccupati. Siamo solo un po’ attoniti. Ma non per quello che dice lei, ma perché stamattina le banane sono finite e noi non sappiamo che mangiare. Nel mondo di noi scimmie primitive e con l’anello al naso e l’osso sui capelli roba del genere manda all’inferno della disperazione più nera.
Grazie, presidente, di tutto. Ossequi. Non ci lasci, per carità. Dovessimo morire?

(da http://www.paralleloquarantuno.it)

Caro Walter, vai pure, non ci serve chi ha paura di vincere

No, non è un illuminista, come lo definiscono i firmatari del “Manifesto per Mazzarri”, oggi sul CorMez. Non è un illuminista nel senso originario del termine, indicato da Kant nel 1784, quando designava in tal modo i seguaci dell’Illuminismo scrivendo: “Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. imagesMinorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo”. No, Kant, Mazzarri illuminista non è.
Non lo è perché è minoritario. Rispetto a un Presidente da cui non riesce a svincolarsi, prima di tutto, su cui non riesce a prevalere: un presidente che non gli ha messo a disposizione una squadra decente, in grado di vincere uno scudetto, un campionato, una Champions o di arrivare almeno a un passo dalla vittoria nell’Europa che conta. Non lo è perché, nonostante abbia fatto miracoli con la squadra che gli è stata messa a disposizione, sottolinea poi la sua minorità – portando a casa anche una colossale caduta di stile – se è vero ciò che scrive Il Mattino di oggi, e cioè che avrebbe confidato a qualche amico: “Venisse qualcun altro a fare quello che ho fatto io con questa squadra”. Perché è vero che ha cavato sangue dalle rape, ma sottolinearlo è sempre un fallaccio da mancanza di savoir-faire, certo non illuminista, anzi. È minoritario rispetto a se stesso, infine. Perché non ha il coraggio di parlare, ma rimanda sempre a dopo la partita con la Roma, quando sa già lui, come lo sappiamo noi, che non parlerà. E allora sarà minoritario anche verso l’intera tifoseria, che è stufa marcia di due annate consecutive di bailamme sul futuro del suo allenatore. Un po’ di chiarezza e di rispetto, no?
Come fanno gli intellettuali firmatari del Manifesto a non capirlo? Come fanno a volere a tutti i costi un allenatore che non ha il coraggio di vincere? Perché, diciamocelo, è questo ciò di cui si tratta. Mazzarri, se resta, è condannato a vincere.
Ora, io amo Mazzarri, l’ho sempre amato (nonostante non abbia mai mancato di sottolineare i suoi errori comunicativi, la sua presunzione e i suoi capricci), gli sarò grata per sempre di averci portato per due volte in Champions, di aver creato un gruppo solido, compatto, unito e orgoglioso. Ma da qui a desiderare di tenerlo con me a vita ci passa un oceano di Illuminismo, appunto. Mazzarri sa che con una squadra così e con la scarsa propensione a spendere del Presidente (la cui giustezza o meno non contesto, dato il bilancio del Napoli rispetto a quello delle altre squadre) è un miracolo. Sa che l’anno prossimo sarà durissima. Sa che, se la squadra non si rinforza (ma davvero, non spacciando Insigne per un vice Cavani) non vincerà uno scudetto, né passerà il girone della Champions. Sa tutto, Walter, per questo ci pensa su tanto a lungo. Ma soprattutto sa, Mazzarri, che nella sua vita non ha vinto nulla. Che miracoli ne ha fatti, certo, ma di vittorie importanti non ne ha portata a casa una (non mi dite che la Coppa Italia è un risultato da Oscar). Non pensa alla Roma o a Timbuctù perché è in cerca di nuove sfide ma perché proprio non riesce a immaginare di vincere. Le sfide, a Mazzarri, fanno paura, danno l’orticaria, quasi, troppo stress, troppa tensione, non fanno per lui. Ed ha talmente paura di vincere che non s preoccupa nemmeno del fatto che andare a Roma lo ridurrebbe a pezzi in dieci minuti di permanenza, che Marione ne farebbe carne da porco, che la tifoseria spaccata in due “s’o magnerebbe”, per dirlo alla romana.
Non è spinto dal sacro cuore della vittoria, Mazzarri, lui va per piccoli obiettivi, una partita per volta, l’ha sempre detto, poi Dio ci pensa e San Gennaro ci mette la manella. Un illuminista serio punta al massimo per poi, male che vada, ottenere il minimo. Così pensa Conte, l’odiosissimo, odiatissimo, il peggio dell’umanità calcistica italiana, forse, ma un vincitore, lui sì, e per due volte di seguito. Così pensa Mou, nonostante le enormi batoste che prende sul campo. Perché devi essere anche un po’ presuntuoso, arrogante, sognatore e volitivo, per vincere, devi essere consapevole che sei il migliore, convincertene prima di tutto tu, non guardare in faccia a niente e a nessuno, mettercela tutta. Mazzarri non è così, non c’è niente da fare, facciamocene una ragione. Io un allenatore timoroso non lo voglio. Voglio vincere e con uno che non ci crede non si vince mai niente, si è perdenti in partenza, non si regge al patema, non si arriva sotto porta con il guizzo felino che ti permette di portare a casa i tre punti, sempre. Preferisco mille volte Mou: uno che sarà pure insopportabile per tanti, ma che dell’umanità intera se ne fotte. Figuriamoci di una tifoseria schizofrenica come la nostra…

(da http://www.paralleloquarantuno.it)

De Luca maschilista contro la “signorina”

Quando il rispetto, l’ironia e il sarcasmo sono del tutto soggettivi. Il 29 marzo scorso Youtube accoglie l’ennesimo video di Vincenzo De Luca, in cui il sindaco di Salerno, nel parlare delle consultazioni per la formazione del governo, rilascia alcune dichiarazioni che dimostrano quanto la materia degli insulti, tanto dibattuta negli ultimi giorni a proposito del web per le dichiarazioni della Boldrini, sia estremamente soggettiva.intervista-de-lucaDal video emerge subito che il M5S non gli è granché simpatico. Il sindaco attacca a parlare del panzone di Grillo, dei suoi Ray Ban, e del suo modo di fare, e, come tutti i destroidi attempati che si rispettino, ci tiene a precisare che: “La rete… ma falla finita, la rete, tutte queste palle”. Eh. Il copione è quello solito. Non capisco Internet e il mondo degli internauti e poiché sono piccolo piccolo, arrogante e supponente, nemmeno voglio capire cos’è: rifiuto l’idea. La rete non c’è, è una “palla”.
Ma il meglio di sé lo dà poco dopo.. Parla della Lombardi e di Crimi. Lei la chiama “quella signorina”, lui “quel signore”, e muove le dita come a indicare degli spiccioli, come a dire che valgono una miseria. “Signorina”, la chiama, non ne pronuncia mai il nome, non riesce neppure a nominarla. Idem con Crimi. Solo che, essendo un maschio violento e arrogante, non demolisce Crimi, suo pari almeno a livello di sesso registrato all’anagrafe. No, se la prende con lei, con la Lombardi, con la donna. E ripete l’errore della maggioranza degli uomini del nostro Paese e forse del mondo: la donna mi fa schifo, la reputo sottomessa, perciò la distruggo, la ridicolizzo, la irrido, e mi diverto pure, mentre lo faccio, sono soddisfatto, cosa potrà mai fare la donna? È più debole, è inferiore. La “violento”.
“Io avrei retto 10 secondi con quella signorina lì, per il livello di supponenza, di presunzione che ha questa tipa che fa il capogruppo, una cosa intollerabile”, dice. Ma non riesce a chiamarla per nome. Non ce la fa. E non serve aver studiato manuali di psicologia per cogliere il senso del gesto: non riesce a nominarla perché ne ha paura, perché non accetta che una donna possa creare tanto scompiglio sulla scena politica. In fondo, si sente inferiore, perché è colpa della Lombardi se Bersani ha fatto una figuraccia, almeno così crede lui. Nel suo immaginario di maschio piccolo piccolo, la Lombardi è come una mamma cattiva, e allora va distrutta.
Non mi sento affatto di esagerare. Io, come donna, ad ascoltare le parole del buon De Luca, sono rimasta profondamente offesa. Colpita dalla violenza verbale ed espressiva di un sindaco i cui risultati apprezzo molto e che mi sta anche simpatico per il modo di parlare verace. Ma non è tollerabile che tratti così la Lombardi solo perché è dei 5 stelle e perché è una donna.
Conclude dicendole “Ma vai a morì ammazzata, e vattene”. Se fossi un’oltranzista, una che ama la caccia all’uomo, sempre più frequente al giorno d’oggi, potrei anche iniziare una campagna denigratoria contro De Luca. Se l’avesse detto Berlusconi, le pagine dei giornali e le home dei social sarebbero piene di condanne, di grida all’apologia di violenza, di panegirici sulla libertà di parola e di politica. Ma no, lui è del Pd, e la Lombardi gli elettor di sinistra la detestano e, peggio ancora, il popolo di sinistra ritiene che si scherzi così, come Dario Fo quando dà del nano a Brunetta. E i giornalisti pure la detestano perché Grillo va contro i giornali ogni giorno. Ma tutto questo è di una volgarità e di una violenza disarmanti. Non esistono due pesi de due misure. E la dignità di cui parla De Luca a proposito di Bersani, quando dice che si tratta di un bene non negoziabile, non appartiene a chi non adotta, nella vita, un minimo di coerenza. La violenza verbale è da condannare sempre. Non è che perché la usa uno del Pd contro una 5 stelle va bene ed è ironia. Non si scherza così. La Lombardi va chiamata deputata, nonostante sia insopportabile, e non “signorina improponibile”, va chiamata per nome. E De Luca è un maschilista violento piccolo piccolo. Da qui cominciano le radici del femminicidio.

(da http://www.paralleloquarantuno.it)

La colpa non è del web ma dell’umanità

Anno 2013 d.C., 3 maggio. La Boldrini all’improvviso scopre la rete e scopre la gente che fa parte della rete, che è né più né meno quella che popola il mondo, quella a cui parla quando fa i suoi bei discorsi, quella che vota alle elezioni, quella che sta davanti alla televisione e cammina per strada, e ha una vita, e una famiglia (tranne in alcuni casi limite), e una faccia, un corpo e delle idee. 20130316-laura-boldrini-320x240Persone, insomma. E scopre, la Boldrini, che non le piace la violenza verbale della rete, non le piacciono le minacce, l’odio, l’arroganza, che sono gli stessi che popolano la vita reale, solo che, quando ci si camuffa dietro un nick o dietro una tastiera, vengono meglio.
Scopre ciò che noi umani da 500/1.000 euro al mese siamo abituati a vivere ogni giorno. Soprattutto noi donne, è vero, l’unica cosa su cui la Boldrini ha straordinariamente ragione. Quando di mezzo c’è una donna, una donna che ce la fa, una che raggiunge posizioni, non per forza di potere come la sua, ma un qualsiasi gradino di visibilità superiore al “normale”, i frustrati della rete (che sono poi quelli della vita reale) le si scagliano addosso per azzannarla. Sacrosanta verità. E allora? Solo perché siamo donne, e siamo brave, intelligenti, magari pure belle non possiamo sopportare quattro maschi che non ce la fanno a sopportare noi e proponiamo la chiusura dei siti cattivi? Siamo capaci di cose molto più grandi di questa, no? Non c’è bisogno di svilirci e sottovalutarci così. Siamo forti anche noi.
La rete è un posto straordinario. Straordinariamente democratica e totalitaria insieme. Un posto cattivo, viscido, certo, ma bellissimo. Veloce, folle, vario, estremo, colorato, vomitevole, libero. C’è del marcio nella rete, è vero, ma ci sono milioni di notizie che non arriverebbero a noi seguendo altri canali, e storie, umori, pensieri di gente normale, che nella maggioranza dei casi, senza la rete, non avrebbe neppure un posto o una persona a cui dire “ciao”. Fermare la rete non è la soluzione, a parte che non si può fare. E invocare la chiusura dei siti offensivi è pericoloso, perché su ogni sito ci sono almeno una decina di utenti che non sono altro che dei disadattati e allora, forse, è meglio isolare loro, con le leggi che esistono, con l’ausilio della polizia postale, per esempio, o dell’autorità giudiziaria. Esistono i mezzi per contrastare la diffamazione nel web, e le violenze e le minacce.
La domanda è: crede davvero, la Boldrini, che un imbecille che ha bisogno di mascherarsi dietro un nickname sia pericoloso sul serio? Quelli che orinano liberamente nel web non hanno quasi mai, poi, il coraggio di passare all’azione. Il web, per loro, è uno sfogatoio. Lasciamoli urlare, che magari poi renderanno felici le loro mogli (o i loro mariti) e i loro figli a casa, che magari svolgeranno meglio il proprio lavoro, che magari aiuteranno poi una vecchietta ad attraversare la strada. E lo scrive una, cioè io, che nella rete si è beccata di tutto, dal “puttana” a “tua mamma fa i pompini”. E allora? Non sono una puttana e mia madre è una donna tutta d’un pezzo. Mica me la prendo. Uno ci fa le ossa, pure ai deficienti del web. Aiuta a crescere.
La rete è umana, e l’umanità è varia. Ci trovi il genio che non scoveresti dietro l’angolo di casa senza Internet e ci trovi pure il represso che ha bisogno di sputarti in faccia la sua bile per non rimanerne soffocato. E l’umanità non si ferma. È un bene che corra. Insomma, non è che puoi mettere il bavaglio a qualcuno a tutti i costi e secondo le tue esigenze. Il web è utile, bello ed è libertario. E forse se la Boldrini o i suoi colleghi l’avessero scoperto prima, avrebbero anche capito che Grillo e i grillini esistevano e che loro intanto perdevano consensi come gli alberi le foglie in autunno. E poi, Laura, sai che c’è? Pure a me non piacciono Alfano, Brunetta, la Gelmini o Bersani. Mica chiedo di chiudere il Parlamento…

(da http://www.paralleloquarantuno.it)

Cara Soledad, ma le corna non sono una soap opera

Fermi tutti: interviene Soledad. La bionda uruguayana che illo tempore ha matato il Matador smentisce le voci di separazione e lo fa “in grandissimo stile” in un’intervista pubblicata su “Chi” e che domani sarà in edicola. cavani_19Dice che non è finita, tra lei e Edinson, che non si stanno separando, però poi, mentre nega il pasticciaccio, parla di Maria Rosaria Ventrone, quella a cui Cavani avrebbe regalato un diamantone di tutto rispetto, per intenderci, e dalla quale, forse,aspetterebbe pure un figlio. Dice che lei non avrebbe mai portato a casa dei genitori un uomo sposato da sei anni con due figli, di cui uno piccolissimo: “Se ha sbagliato quella ragazza certamente avrà sbagliato anche mio marito”. E poi, “Io non giudico nessuno”, dice, anche se le ha appena dato della facilona per aver portato Cavani a casa dei suoi, e poi rincara la dose: “Giudicherà Dio”. In pratica prega tutti i santi del Paradiso affinché diano il benservito a Maria Rosaria una volta che si sarà presentata (speriamo per lei più tardi che mai) alle porte celesti.
E ne ha pure per il marito, contro il quale, ahimè, come nelle più tristi soap opera sudamericane che da noi si vendono tantissimo tra le casalinghe con i bigodini in testa, sguinzaglia i figli. Dice che il marito ha tradito il figlio Bautista prima che lei e poi, vai con lo strappalacrime! “Ogni giorno lui mi chiede del suo papà ‘quando torna papà? Quando andiamo da papà?’ Credimi, è dura cacciare dentro le lacrime e rispondergli”. Ecco qua. Povero Bautista, del quale ci costringono a leggere le parole disperate relative all’abbandono del cattivone Edinson perpetrato ai danni della mamma in lacrime.
Tutto bene, anche che Soledad dica di amare ancora Cavani, e che presto verrà in Italia per incontrarlo e chiedergli di persona se l’ha tradita davvero oppure no. Benissimo. Ma intanto pure tu, benedetta donna, dov’eri finora? A giocare con le bambole insieme alla moglie di Zuniga? E vattelo a riprendere e poche storie se proprio ci tieni. Ma lascia fuori i bambini, e le lacrime, e la scena patetica da polpettone sudamericano. E pensaci se sia davvero il caso di riprendertelo. Se l’è andata a scegliere a San Marco Evangelista, commessa in un supermercato, 22enne. Va in giro con lo chignon come l’ultimo dei fotomodelli. E pensa pure di lasciare Napoli, magari dopo aver fatto ancora qualche danno. Ma lo vuoi davvero un tipo così? E soprattutto, sei proprio sicura di non aver fatto nulla per favorire il suo distacco dalla corte coniugale? Non è che uno è il diavolo e l’altro l’acqua santa. Non esiste solo il bianco o solo il nero. Per carità, via da qui. Già il tradimento è triste, l’esserne costretti a leggerne pietoso, ma la contro-risposta a Chi fa veramente pena. Un po’ di dignità, su.

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La camorra a Napoli. La guida Michelin ha fatto un sogno

DI ILARIA PUGLIA

Un weedkend a Napoli e mille cose da fare e da vedere. Le racconta tutte la guida Michelin dedicata alla nostra città. I monumenti, lo shopping, la pizza, le caratteristiche dei vari quartieri e… la camorra. Già, la camorra di ieri e di oggi, che la guida spiega attraverso una ricostruzione certo approssimativa ma più o meno condivisibile, citando anche Saviano e Gomorra per indicare il volto diverso della criminalità moderna. Quartieri popolari di Napoli:Vicoli, bassi, extracomunitariTutto giusto, anche se trattato un po’ en passant, fino all’immagine di una Napoli che ha smesso di esistere diversi anni fa. La guida, infatti, che è del 2009, quindi non certo risalente alla preistoria, descrive Napoli come invasa dai contrabbandieri, che, stando a quanto si legge tra le sue pagine, sono ovunque: “Bancarelle precarie sorgono nelle piazze, agli incroci, nelle vie. La formula magica di richiamo ai fumatori ‘sigarette, sigarette’ scandisce le serate”, recita l’opuscolo da viaggio Michelin. E spiega che il contrabbandiere è “tollerato dalle autorità, nascosto durante le grandi occasioni come il G7”, e persino “guardato con benevolenza dai napoletani”. Nel 2009 il contrabbando era stato già debellato da un pezzo, ma Michelin evidentemente non lo sa.
Ma dove il libricino si supera alla grande è nella descrizione folcloristica dei bassi, collocata in un boxino affascinante, dal titolo “Scene misteriose della vita napoletana”. Qui viene spiegato candidamente che basta bussare alla porta di un basso e aprono “anziane signore, sempre sveglie (persino nel cuore della notte)”, che “interrompono le loro chiacchiere, il lavoro a maglia o la partita a carte, e vengono ad aprirvi”. Povere donne, insonni, sempre all’erta aspettando il turista di turno che bussi alla loro porta. E allora tu bussi e loro vengono a vedere chi è, dopodiché funziona tutto come il copione di un film: “Voi dichiarate la marca di vostro gradimento, una tira fuori il pacchetto da una cesta, l’altra ve lo porta e voi pagate salutando”. Salutando. Che meraviglia Napoli raccontata così. Peccato che se bussi a un basso di notte l’ultima cosa che ti portano sono le sigarette e meno che mai il saluto allegro e scanzonato. Al massimo trovi un po’ di fumo, ma devono farti pelo e contropelo prima di vendertelo. Insomma, è più facile che ti impallinino e buonanotte, le povere donne che non dormono mai.
Michelin è fermo a vent’anni fa. Peccato si tratti di una guida turistica. Peccato asserisca, tra le righe, che l’amministrazione della città, e le forze dell’ordine e tutti i deputati al controllo, nascondano sotto il tappeto i contrabbandieri in occasione di eventi internazionali di prestigio. Peccato che spinga i turisti al tour dei vicoli di notte.
Del resto sono eloquenti anche le foto scelte a corollario delle due pagine dedicate al tema camorra. In una c’è un gruppo di ragazzi seduti al tavolino di un bar: le ragazze sorridono, gli uomini hanno dei grossi occhiali neri e fumano, e solo per questo sono identificati come guappi (non male come fantasia). In un’altra, invece – e qui si raggiunge il top – c’è un funzionario di polizia ritratto durante una pausa dal servizio, in Prefettura, con tanto di didascalia. Non una pattuglia in procinto di arrestare qualcuno, o un vigile urbano intento a dirigere il traffico e a mettere ordine, no, un signore un po’ terribile, con occhiaie nere e faccia truce stravaccato su una sedia con la giacca aperta e la pancia in primo piano, con la pistola infilata nei pantaloni, a mo’ di minaccia.
A Napoli siamo tutti così: guappi, con grossi occhiali per nascondere le occhiaie malavitose e stravaccati in una posa insolente mentre non lavoriamo. E offriamo sigarette come fossero fiori. E stiamo sempre svegli la notte, che non ci annoiamo mai. Una cartolina, insomma. Benvenuti!

(da http://www.paralleloquarantuno.it)

Io adoro leggere i giornali. E’ la mia carezza del mattino

Ma tu, Iodi solo, nella vita? No, Adorio pure, e tanto, e una volta a settimana ve lo dimostrerò

Io adoro leggere i giornali la mattina. Adoro comprarli sempre dal solito giornalaio di fiducia, sotto casa. Mi piace vederlo che me li prepara quando sto per avvicinarmi all’edicola. Adoro prendere in mano quel malloppo che sembra un panino caldo appena sfornato e tenerlo in ordine mentre guardo appena un po’ i titoli delle prime pagine, pregustando la lettura tranquilla seduta da qualche parte. Mi piace guardare gli argomenti degli editoriali e dei commenti, soprattutto, le cose meno vecchie in un cartaceo dopo che, dalla sera prima, sai già, grazie al web, vita morte e miracoli delle notizie del giorno appena concluso. E le interviste, mi piacciono assai le interviste, perché in fondo adoro anche farle e allora, oltre a leggere le risposte dell’intervistato, adoro leggere le domande.

Io adoro leggere i giornali davanti al caffè, quel momento di pausa in cui ti vengono poi idee per scriverne di tuoi, di articoli, approfondire, discutere le notizie o le dichiarazioni o le opinioni di chi scrive. Discutere delle storie che sono racchiuse in quelle pagine. Immaginare i redattori impegnati fino a sera tardi, i menabò e le modifiche occorse all’ultimo minuto e gli “smadonnamenti” di quelli che erano di turno a copertura.

Io adoro pensare al sonno dei giornalisti tormentato dai dubbi, perché un giornale chiuso la sera prima nasconde le insidie del web notturno, che può portarti avanti di chilometri rendendo terribilmente vecchie quelle pagine. Io adoro leggere le firme, perché mi piace attribuire alle parole un nome e per la responsabilità che quel nome si assume, molto spesso sottovalutata da quello stesso nome.

Io adoro leggere i giornali quando sono intonsi. Nemmeno un’orecchietta, una pieghetta infinitesima dovuta allo stare in pila nei camioncini sotto pressione, nemmeno una sbavatura di inchiostro. Mi piace aprirli per prima, accarezzare la pagina mentre la spiego sul tavolo davanti a me (non mi piace leggere il giornale in piedi, perché quel momento è sacro e richiede calma). Il mio giornalaio sa che non deve mai consegnarmi la prima copia del mucchio, ma sempre la seconda, anche la terza, appiattita dal peso. Per questo adoro essere una cliente affezionata: mi piace quando, al bar come in edicola, posso dire: “Il solito, grazie”. È come ricevere una carezza rassicurante.

(da http://www.paralleloquarantuno.it)

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