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mai più dietro un pilastro

Cori razzisti allo Juventus Stadium. Cannavaro, che aspetti a fare il Capitano?

Due parole sui cori juventini contro i napoletani che ieri sera hanno “riscaldato” lo Juventus Stadium. Due parole su ieri partendo 
da qualche settimana fa. 

Quando è successo quello che è successo con Boateng (http://www.ilmessaggero.it/sport/calcio/cori_razzisti_milan_patria
_busto/notizie/241846.shtml
), il Napoli non ha detto niente. Non si è schierato unito e compatto con il Milan forte del fatto che, da 
sempre, noi napoletani siamo vittime del razzismo negli stadi. Addirittura, alcuni tifosi napoletani hanno colto l’occasione per 
rallegrarsi, perché finalmente anche i milanisti provavano sulla loro pelle le offese razziste. Che quasi gli stava bene, che adesso toccava a loro dopo anni che era toccato a noi. Non un gesto pieno e deciso di solidarietà. Soltanto la solita morale: finora a noi, adesso a voi. Beccatevela e portatevela a casa. A parte pochi “folli” isolati che addirittura si sono azzardati a scrivere, nei social, “Boateng grande uomo”, rischiando, talvolta, il linciaggio. 

Dopo poco, Marchisio ci definisce, in un’intervista, antipatici. E noi giù ad offenderci, a vederci calpestati nei secoli dei secoli. Lui dice 
che gli siamo antipatici? Noi rispondiamo “ti romperemo il culo”. Lui dice che quando sa di giocare contro il Napoli gli scatta qualcosa? 
Noi rispondiamo inventandoci un’applicazione sul telefono che si chiama “picchiamo Marchisio”. O siamo più intolleranti, razzisti e 
violenti noi, oppure semplicemente dei frustrati. Talmente abituati ad essere sottomessi che quasi non ci divertiamo più se non c’è 
qualcuno che ci ricorda che siamo dei poveretti, neri neri come il “creaturo” della Tammurriata nera. E in questo è complice la società, 
che firma un comunicato sull’affare Marchisio in cui definisce le parole dello juventino “una grave offesa” e pretende il suo chiarimento. Come una zita contignosa.

Errore grave. Gravissimo. Perché se stiamo sempre a lamentarci di essere trattati da schiavi, finisce che poi ci abituiamo e, soprattutto, che si abituano gli altri a trattarci così. E allora finisce che si gioca una partita allo Juventus Stadium, dove noi non c’entriamo nulla, perché la Juve gioca contro l’Udinese e non contro il Napoli, e perché non c’è niente di più lontano da quello stadio del nostro, sia come calore che come novità della struttura (loro, quantomeno, hanno dei bagni) e comunque, dal pubblico, parte quel coro contro di noi: “Oh Vesuvio lavali tu”. Noi che non stiamo giocando lì, ma che per gli juventini siamo il chiodo fisso che perfora l’anima, a maggior ragione adesso che siamo così vicini e gli alitiamo sul collo. Il tutto davanti agli assistenti di gara, ciechi e sordi, come al solito, del pubblico pagante, di milioni di spettatori in Italia e nel mondo. Ma poiché è consuetudine che i napoletani siano trattati così, che nessuno si ribelli, il gioco va avanti, nonostante la giustizia sportiva preveda pene che vanno dalla semplice multa alla sconfitta della squadra a tavolino. Nessuno sente. Tutto normale. Perché i napoletani, di solito, piangono. Perché ci schifano e quindi i cori contro di noi assumono quasi un’aura di rassicurazione. Per noi, proprio. Perché nel momento in cui non ci schiferanno più avremo perso ogni punto di riferimento. Saremmo costretti a guardare in faccia la realtà, e cioè che possiamo fare qualcosa anche noi, ribellarci, insorgere, considerarci il centro del mondo, batterci per avere uno stadio decente, servizi normali, una vita “giusta”. Se si inneggia al Vesuvio per lavare i napoletani vuol dire che è tutto in ordine, che stiamo tutti bene. Avanti così. 

Però. Però c’è la Pro Patria. Già coinvolta nel caso Boateng, ieri le è stata sospesa la partita con il Casale, valida per il torneo giovanile Berretti. Fabiano Ribeiro, giocatore del Casale, riceve un insulto razzista e lo staff della squadra, dopo essersi consultato con i calciatori, decide di non giocare più. La partita viene sospesa e gli atti passati alla Procura Federale. Dunque, accade. Si può mettere la parola fine a un’idiozia come i cori razzisti, a un’ingiustizia come il non rispetto del regolamento. A un’ignominia come le offese urlate in uno stadio, che dovrebbe essere la patria del fair play e dello sport.

Adesso possiamo invertire la rotta anche noi. Abbiamo un capitano che torna oggi dopo un’ingiustizia grave. Gli è stato macchiato l’onore con l’accusa di illecito sportivo, o almeno col sospetto. Per giorni. E a noi è stato messo un asterisco accanto al punteggio a macchiare la classifica. Adesso, però, è tornato e si può ricominciare daccapo. Mai una volta, finora, Paolo ha pensato di interrompere la partita in caso di cori razzisti. Mai. Il non denunciare in campo cori razzisti equivale a non denunciare la proposta di combine. Nel suo caso non c’è stata nemmeno la proposta e infatti è stato assolto. Ma se di nuovo dovesse “non sentire” i cori contro i napoletani mentre si gioca una partita, sarebbe “colpa”. Non per la giustizia sportiva, trasandata e malaticcia, ma per la morale comune, per la giustizia tout court, quella degli uomini. Non me ne voglia Paolo. Ma a volte bisogna anche tirare fuori le palle, per vincere, nella vita. A parte la difesa a 3 o a 4 o il ruolo di difensore centrale. E allora, che colga al volo l’occasione, Cannavaro, per fare davvero il capitano. Non si riduce tutto a una fascia sul braccio, ma a un cuore da leone e a un carattere da fiera assatanata. Ci sono gli strumenti. Se fai il cieco e il sordo anche tu non sei degno di essere un capitano. E non c’entra niente la combine.

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Un pensiero su “Cori razzisti allo Juventus Stadium. Cannavaro, che aspetti a fare il Capitano?

  1. Giuseppe in ha detto:

    fantastico!!!

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